Giovani e volontariato: Luca Pangrazzi e la scala verso il Benin

In occasione di Trento Capitale del Volontariato 2024, abbiamo incontrato Luca Pangrazzi, classe 2000, attualmente studente di Architettura all’università IUAV di Venezia, che ci ha raccontato la sua esperienza presso l’onlus roveretana Atout African Arch fondata dall’architetto Barbara Borgini nel 2005.

Come ti sei avvicinato all’associazione? Sentivi un’attrazione per le problematiche del Continente Nero?

Era il 2019 e frequentavo ancora l’istituto ITET Fontana. Il professor Andrea Vinante propose un progetto di Alternanza Scuola-Lavoro che prevedeva un impegno di volontariato diretto ed attivo in centro Africa. Nonostante vivessi a Rovereto, non avevo mai sentito parlare di questa onlus, ma sicuramente prima o poi mi ci sarei avvicinato, perché la cultura africana mi affascina molto: un mondo così distante e allo stesso tempo così vicino. Atout si occupa proprio della promozione e della valorizzazione delle tradizioni, dell’identità e del territorio del Benin attraverso la salvaguardia del patrimonio artistico ed ambientale, che in anni di colonizzazioni si è in parte snaturato. L’architettura vernacolare e quella afro-brasiliana del XIX secolo, in particolare, hanno risentito del mancato sviluppo economico con il conseguente deperimento di edifici di pregio, spesso demoliti e sostituiti da costruzioni atipiche e avulse dal contesto storico-culturale.

Che cosa prevedeva concretamente il progetto e di cosa ti sei occupato?

L’esperienza si divideva in due parti: una prima fase di progettazione in aula e una seconda di realizzazione in loco di un dispensario medico per donne incinte che Barbara stava costruendo vicino alla città di Ouidah, definita la culla del voodoo, aspetto che mi intrigava molto. L’edificio prevedeva due sale degenza ed una operatoria. Noi ci siamo occupati della scala in ebano di accesso alla terrazza soprastante. Penso che proprio la possibilità di lavorare a contatto con gli abitanti del luogo e, di conseguenza, immergermi davvero nella loro cultura sia stato ciò che mi ha convinto a partecipare. Una volta arrivati, la nostra giornata tipo consisteva nello svegliarsi presto per raggiungere il cantiere, dove restavamo in zona scala dirigendo i lavori e contribuendo ad eseguirli. Era talmente intenso e stancante che la sera visitavamo la città ma rientravamo presto per riposare.

Come valuteresti la tua esperienza? Avendone la possibilità la ripeteresti?

Mi sono chiesto più volte se questo progetto abbia influito sulla mia scelta universitaria e sono giunto alla conclusione che vedere come lavora l’associazione mi abbia influenzato in modo positivo. Mi ha affascinato soprattutto la visita agli edifici realizzati da Barbara: vedere un’architettura diversa dalla nostra, i problemi e le sfide che si devono affrontare, l’impiego di materiali e maestranze differenti. Non è scontato svolgere un’esperienza come questa e la consiglierei a chiunque. In futuro mi piacerebbe tornare in Africa, ma in altre zone dove poter affrontare sfide diverse.

 

Atout African Arch.it festeggia i suoi 18 anni


Articolo redattto da Marco Galvagni,  per il quotidiano “L’Adige”, Sabato 16 dicembre 2023

In Benin, Africa, 18 anni a costruire scuole, pozzi e qualche struttura sanitaria

Nell’organizzazione di volontariato, con sede a Rovereto, anche eccellenti architetti

Da Rovereto al Benin per costruire e restaurare poli sanitari e scuole: la solidarietà internazionale di Atout African Arch.it

In quanti sanno che a Rovereto ha sede un’associazione di architetti che costruisce scuole in Benin e ha per presidente onorario uno dei più importanti danzatori viventi? Si chiama Atout African Arch.it e per parte mia confesso di averla scoperta solo pochi mesi fa, benché alcuni studenti dell’istituto scolastico dove attualmente lavoro avessero partecipato all’inizio del 2019 a un progetto della medesima (ma ho una scusa: all’epoca insegnavo nel corso serale, che è un mondo a parte).

 

Quando per saperne di più ho contattato la presidentessa Barbara Borgini, architetto di origini romagnole, ho avuto un’accoglienza persino entusiasta: a quanto pare corrono tempi problematici, e trovare collaboratori o anche solo interessati è tutt’altro che facile, proprio come confrontarsi con un ente pubblico più sordo di un tempo ai richiami della solidarietà internazionale. E sì che costruire ospedali e scuole in Africa avrebbe dalla sua argomentazioni super partes, di semplice buon senso, giacché è un modo di dare lavoro alle persone nel luogo dove vivono, dove hanno una casa e una famiglia, evitando loro le odissee migratorie che le portano altrove in cerca di miglior fortuna – sempre che raggiungano la meta. C’è forse una forma di solidarietà più rispettosa di ciò che ci fa umani, il legame a una terra e agli affetti?

 

Tant’è, e sta di fatto che Atout African Arch.it in diciott’anni di attività ha realizzato oltre trenta progetti fra restauri, poli sanitari e soprattutto, appunto, scuole, in un paese le cui scarse risorse sono gestite da un’amministrazione fragile in una democrazia ancora giovane e tutt’altro che consolidata. E assistendo di recente a un’assemblea dell’associazione in cui a un certo punto c’è stata una videochiamata con uno dei cantieri attualmente aperti, ho capito una cosa: gestire i lavori sul posto e da remoto richiede polso e sorveglianza, quindi persone che ci sappiano fare, professionalità e competenza, e questo richiede sostegno, ossia supporto finanziario e consenso delle due comunità, di partenza e d’arrivo.

 

C’è anche da dire che un fattore determinante è la presidenza onoraria: se non ci fosse un beninese autorevole e di fama a mediare tra qui e laggiù, probabilmente Atout African Arch.it avrebbe fatto la fine delle decine, centinaia di associazioni di solidarietà internazionale che si trovano costrette in ritirata dopo un paio d’anni, la coda tra le gambe e le casse svuotate da profittatori. E invece Borgini e soci sono affiancati da Koffi Kôkô, un’autorità in Benin e celebre nel mondo della danza per la sua fusione di ritualità africana e forme occidentali, dei cui spettacoli si è scritto che trasformano lo spazio della scena in un luogo “dove gli spiriti del passato e del presente si incontrano” (lo si poté vedere al Teatro Sociale di Trento nell’ormai lontano 2007).

 

Nei primi anni ottanta Koffi Kôkô aveva già fondato una sua “Atout African International”, coinvolgendo colleghi come il brasiliano di Ismael Ivo, con cui organizzava festival e workshop, e fu proprio a un corso di danza in Benin nel 1998 che Barbara Borgini lo conobbe. Pochi giorni dopo il rientro, fu contattata dall’artista, che avendone conosciuto anche il côté professionale – all’epoca lei insegnava alla Facoltà di Architettura a Venezia – le chiese di progettargli una casa nel paese africano. La cosa non sarebbe andata in porto, ma fu l’inizio di una lunga collaborazione: nel 1999 fu la volta di un centro per la danza con vista sull’oceano, stavolta realizzato, e presto Barbara, nel frattempo approdata a Rovereto al seguito di Renato Rizzi, concepì l’idea di un’associazione locale, quasi una filiale trentina, votata alla solidarietà e all’architettura, di quella inizialmente concepita da Kôkô.

 

Di particolarmente bello, nei progetti realizzati nel corso del tempo, c’è la loro singolarità: Borgini ha concepito e studiato ogni edificio in base al contesto ambientale e comunitario, costellando il paese africano di realizzazioni uniche oltre che socialmente utili, e quasi tutte sostenute dall’ente pubblico trentino. E affinché lo scambio non fosse unilaterale, Atout African Arch.it ha promosso e sostenuto negli anni varie iniziative per la diffusione della cultura africana e del dialogo intercontinentale. È in questa cornice che mi piace pensare il gruppo di alunne e alunni degli istituti “Fontana” di Rovereto e “Floriani” di Riva che quattro anni fa, accompagnati dal collega Andrea Vinante, hanno seguito per due settimane il cantiere di un dispensario a Gbezoumé, nel sud-ovest del Benin, non lontano dalla costa che affaccia sul golfo di Guinea.

 

Un altro progetto, con ricadute recenti, è stato il finanziamento della traduzione della monografia Passaggi. Koffi Kôkô tra danza contemporanea e filosofia del Vodoun, scritta dal tedesco Johannes Odenthal e pubblicata in italiano nel 2020 dall’editore trentino Fontana. Se ne troverà forse qualche copia il prossimo 22 luglio, presso la Fondazione Dalle Nogare, in occasione di “The third body”, una performance che vedrà il ballerino e coreografo beninese affiancato da Odenthal e dal percussionista Manos Tsangaris a “Bolzano Danza”.

 

Se anche in quest’ultimo caso ci sia lo zampino di Atout African Arch.it, non l’ho ben capito; certo è che a Rovereto la stella di Koffi Kôkô brilla costante e permette e Barbara Borgini di tenere il timone a dritta, oltre i tagli pubblici alla solidarietà.

di Stefano Zangrando, docente, traduttore e autore

Un viaggio tra danza, arte e cultura in Benin

Avete mai pensato di visitare il Benin? Di passare le vacanze Natalizie di fronte all’ Oceano, di conoscere questa cultura così ricca e profonda, di conoscere i progetti realizzati da AtoutAfrican a sostegno della cultura, educazione, formazione, ambiente… Non solo danza! Puoi partecipare anche senza seguire i corsi formativi. UN VIAGGIO TRA DANZA, ARTE E CULTURA IN BENIN in compagnia di KOFFI KOKO 28 dicembre 2023 – 11 gennaio 2024. POSSIBILITÀ di ESTENSIONE del VIAGGIO di una o due settimane: Terza settimana (11/18 gennaio); Quarta settimana (18/25 gennaio). Koffi Koko ci invita a conoscere il suo paese, il Benin – ex Dahomey, per questa esperienza che vuol essere un momento di conoscenza della sua filosofia tra Danza e Vodoun. Sono previsti corsi di Danza di livello unico con artisti locali. La danza sarà in un luogo all’aperto in riva all’Oceano chiamato “Village des Artistes” a pochi km dal centro della citta storica di Ouidah fondato dallo stesso Koffi Koko nel 2000.


ECCO ALCUNE IMMAGINI DELLE SCORSE EDIZIONI: